a) Il testo costituzionale indica la necessità che i Consigli comunali avanzanti la proposta di una nuova Regione, sia per “distacco” che per “fusione”, rappresentino almeno 1/3 delle “popolazioni interessate”, poi aggiungendo la ulteriore condizione di procedibilità secondo cui “la proposta sia approvata dalla maggioranza delle popolazioni stesse”.
b) La legge applicativa n. 352/1970, disciplina distintamente il caso di costituzione di una nuova regione per fusione di regioni esistenti (art. 42, comma 1) da quello per cui la nuova regione sorge a seguito di “distacco” di una parte di un territorio regionale originariamente appartenente a una medesima circoscrizione (art. 42, comma 2).
Solo per questo secondo caso (42, comma 2, L 352), il legislatore del 1970 ha precisato che il “terzo” dei comuni deve essere riferito sia alla popolazione che si intende distaccare, sia a quella riferibile alla popolazione che rimarrebbe nella Regione originaria.
Invece, per il caso di richiesta fusione, il comma 1 del citato art. 42 L 352/1970 in commento prevede solo che detta richiesta debba “essere corredata delle deliberazioni di tanti consigli comunali che rappresentino almeno un terzo della popolazione complessiva delle regioni della cui fusione si tratta”.
La norma in commento di cui al comma 1, specie se letta comparativamente con il ben più articolato comma 2, appare riferirsi al requisito riferibile al “terzo” dell’intera popolazione interessata dalla potenziale fusione, senza che si possa da ciò legittimamente dedurne la specificazione per cui il quorum debba riferirsi a ciascuna delle regioni coinvolte.
Ubi lex voluiti, dixit … Dunque, il legislatore esplicita la necessità di un quorum infraregionale solo per il caso del “distacco”, non, invece, per la fattispecie opposta rappresentata da una “fusione” di regioni, in relazione alla quale introduce il diverso parametro alla “popolazione complessiva”, aggettivo quest’ultimo che non sembra potersi intendere che riferibile al “complesso” delle regioni coinvolte e non a ciascuna di esse.
La Corte Costituzionale ha avuto modo di occuparsi della fattispecie relativa al comma 1 dell’art. 132 Cost. per il caso di un proposto “distacco”, in tale occasione affermando che la locuzione “popolazioni interessate” usata dal 132 deve scontare un “possibile poliformismo”, per poi, ritenere giustificato l’aggravamento procedurale contenuto nel (solo) comma 2 dell’art. 42 L 352/70 per la considerata ipotesi del “distacco”.
In particolare tale “aggravamento” procedurale (1/3 delle popolazioni da distaccare e 1/3 di quelle che rimarrebbero nella precedente circoscrizionale regionale) troverebbe la propria ragion d’essere nel fatto che, nell’ipotesi di distacco, in essere una nuova “gravosa istituzione della completa struttura politico-amministrativa” di una ulteriore Regione, con “nuove o maggiori spese per la cui copertura potrebbero determinarsi effetti anche sulla popolazione non soggetta alla modifica”. Inoltre la Corte rappresenta, per presunzione generale, che per la parte territoriale che subisce il distacco, a tacer d’altro, “si verificherebbe un sensibile ridimensionamento della struttura della regione cedente”.
In effetti, la Corte Costituzionale, nel ritenere coerente con la norma costituzionale la aggravata procedura di cui al comma 2 dell’art. 42 L. 352/70, non ha, nemmeno indirettamente, criticato la diversa formulazione del primo comma per il caso di fusione di Regioni, benché entrambe le fattispecie rientrino nelle previsioni della prima parte del 132 Costituzione (cfr. Corte Costituzionale, 21 ottobre 2011, n. 278)..
Nel caso di fusione, in effetti, si ipotizza – all’opposto che per la domanda di “distacco” – un risparmio di spesa pubblica, né, in astratto, può predeterminarsi una regione penalizzata, cosicché la congruità costituzionale del comma 1 dell’art. 42 L. 352/70 appare confermata.
c) Alternativamente, si può ancora osservare quanto segue.
Il comma 1 dell’art. 132 utilizza la locuzione “popolazioni interessate” riferendola simultaneamente tanto al quorum della richiesta originante, quanto al quorum del referendum, Dunque, almeno al precipuo fine che interessa (nuova regione per fusione) si deve presumere, per esigenza logica, che il concetto di “popolazioni interessate” sia il medesimo.
Al riguardo, viene in soccorso l’art. 45, comma 2, della legge 352/70, ove – come si è visto – si prevede che “la proposta sottoposta a referendum è dichiarata approvata, nel caso che il numero dei voti attribuiti alla risposta affermativa al quesito del referendum non sia inferiore alla maggioranza degli elettori iscritti nelle liste elettorali dei comuni nei quali è stato indetto il referendum”. Dunque, non vi è alcun riferimento all’articolazione del voto per regioni o territori specifici, ma si chiede una maggioranza per cosi dire “trasversale” alle varie zone coinvolte. Conseguentemente, al termine “popolazioni interessate” usato dal 132, c. 1, sia per il quorum del referendum, sia per quello della richiesta, non potrà attribuirsi un significato diverso nella medesima procedura per fusione in commento, almeno in assenza di esplicite proposizioni normative che introducano nuove accezioni delle “popolazioni” coinvolte.
In effetti, e come si è visto, per il caso di “fusione”, il comma 1 dell’art. 42 della legge 352/70 non solo non contiene, a differenza del caso del “distacco”, specificazione alcuna, ma ribadisce piuttosto che il parametro per il quorum anche in occasione della richiesta deve riferirsi alla popolazione “complessiva”.
Dunque, appare logico ritenere che il terzo dei Comuni, necessario per l’attivazione delle procedura, debba riferirsi alla popolazione complessiva e non a quella di ciascuna regione coinvolta.
<strong>Sui condizionamenti del diritto internazionale</strong>
Deve considerarsi, per l’ipotesi di “fusione” delle tre regioni del nordest italiano, quali conseguenze possa determinare la presenza dell’Accordo De Gasperi/Grueber, allegato al Trattato di Pace di Parigi, conclusivo del secondo conflitto mondiale.
Sul nominato accordo De Gasperi-Grueber, si può preliminarmente osservare che è già intervenuta la liberatoria dell’Austria nel 1992.
Inoltre, il contenuto del medesimo intende garantire non già l’attuale assetto costituzionale e istituzionale italiano, ma solo la previsione di non meglio precisate forme di autonomia specifica legislativa e amministrativa, che ben potrebbero essere considerate anche nell’ambito di una macroregione veneta e della relativa legge costituzionale istitutiva della medesima.
In terzo luogo, i confini dell’accordo sono limitati all’Alto Adige e a pochissimi comuni trentini in cui esiste una minoranza di lingua tedesca, cosicché per la quasi totalità dell’attuale territorio del trentino non si riscontra alcun tipo di condizionamento, mentre per la sola area altoatesina la macroregione potrà prevedere forme particolari di ulteriore autonomia, così egualmente rispettando il nominato Accordo allegato al Trattato di pace.