COMUNCIARE DALLA CULTURA
L’Europa degli speculatori e dei finanzieri spregiudicati che si avvalgono della mondializzazione per accaparrarsi immense fortune, ha oscurato le grandi speranze di avanzamento morale che fu dei padri fondatori dopo le sanguinose tragedie di due guerre mondiali. I grandi statisti che si erano impegnati nella ricostruzione, avevano contato molto sul formidabile patrimonio di pensiero, lavoro, arte, conoscenza scientifica, accumulato in tanti secoli di civiltà, da opporre alle rovine materiali e ai genocidi a conclusione della seconda guerra mondiale. Alcide De Gasperi, Robert Schuman e Konrad Adenauer, e con loro filosofi, religiosi, pensatori, scienziati, avevano concorso a restaurare la visione del cardo massimo costituito da cristianesimo, e del decumano tracciato dal diritto romano, nel ripristinare, tessera per tessera, il prezioso mosaico di civiltà costituito dalle oltre trecento e trenta culture regionali in cui consiste l’Europa, dall’Atlantico agli Urali.
Sono questi gli ambiti primari cui va dato specifico rilievo, nella storicità del passato come nel rispetto del divenire. Ce lo ricorda da nove secoli Abelardo, nel proporre la sua immagine tuttora più che mai valida: Europa, diversa non adversa. Principio che si applica a vaste aree, in cui le differenti culture locali ritrovano il senso della loro unità.
Tra queste fuori da ogni dubbio si comprende il territorio compreso tra le Alpi, la grande pianura veneto-friulana e l’Alto Adriatico. Una realtà plurale, che ricava il senso del proprio esistere dalle diversità geomorfologiche, etniche, linguistiche e produttive.
Jean Monnet, ispiratore della prima Comunità Europea del carbone e dell’acciaio, oppose alle prime resistenze che cominciarono a comparire fin dall’avvio del processo unitario, questa sua dichiarazione fondamentale: Si c’était à refaire, je commencerais par la culture! Se si dovesse rifare, inizierei dalla cultura. Non c’è chi non veda oggi l’urgenza di questa intuizione.
Tra condizionamenti economici, crisi epocali, tensioni e conflitti tra Istituzioni europee e Governi nazionali, si sono andati smarrendo i valori essenziali condivisi, col risultato che oggi si sono moltiplicate le fratture e le tensioni ostili nel vecchio continente.
Eppure basterebbe riprendere in mano alcuni documenti messi insieme negli ultimi decenni dall’Unione Europea, per ritrovare il senso comune che li ispira. Testi su cui riflettere mentre si minaccia di riabbassare le vecchie sbarre confinarie e di alzare nuove barriere di filo spinato alle frontiere tra gli Stati. Nel Trattato di Maastricht del 1992, il primo capoverso dell’art. 128 sostiene che l’Unione contribuisce al pieno sviluppo delle culture degli Stati membri, nel rispetto delle loro diversità nazionali e regionali, evidenziando nel tempo il retaggio culturale comune.
Una vera svolta rispetto ai documenti di forte condizionamento economicistico che ci hanno condotto nelle secche. E più avanti: L’Unione, con la sua attività, tiene conto dell’aspetto culturale in base ad altre determinazioni di questo Trattato. Riconoscendo l’impegno delle nazioni a verificare la tollerabilità culturale di tutte le politiche comunitarie. Si tratti di relazioni fra le persone, le famiglie o lo scambio di prodotti.
IL TRIVENETO NON È UN’ESPRESSIONE GEOGRAFICA
Le nostre sono società multiculturali, dove è necessario individuare e rispettare i valori propri a ciascuna componente regionale. Invece il mancato sostegno verso le singole vocazioni, e una colpevole indifferenza verso gli specifici contesti socioculturali, hanno continuato a generare piani di intervento e progetti di sviluppo incapaci di condurre a risultati di maggiore giustizia e benessere. Senza avviare processi di europeizzazione nella quotidianità, si forma una “marmellata culturale” che tiene conto solamente degli interessi egoistici, dove contano solo valutazioni a favore di gruppi privilegiati, privi di ideali comunitari.
In un altro documento, la Convenzione sulle minoranze etniche, adottata dal Consiglio d’Europa ancora nel febbraio 1995, si stabiliva nel preambolo che il fiorire d’un’Europa tollerante e prospera non dipende solo dalla cooperazione fra Stati, ma si fonda anche sulla cooperazione transfrontaliera fra collettività locali e regionali rispettose della costituzione e dell’integrità territoriale di ciascuno Stato. E ancora prima, nella Convenzione di Madrid del 1980 sulla cooperazione transfrontaliera, si sollecitavano iniziative tra regioni finitime di Stati diversi al fine di rafforzare e sviluppare i rapporti di vicinato.
Dunque i principi indirizzati alla condivisione non mancano. Salvo poi svenderli alla prima speculazione economica, abbandonando ciascuno al suo destino, come purtroppo sta accadendo, nella degenerazione dei processi politici in atto.
In questo scenario globale, l’Europa non è solo “un’espressione geografica”, concezione cara al realismo politico del Principe Klemens von Metternich, che considerava l’Italia un termine puramente lessicale. E tanto meno lo è, da millenni, l’ambito che oggi concepiamo e definiamo come le Tre Venezie, oppure il Nord Est italiano, o più semplicemente ma significativamente: le Venezie riprendendo il concetto latino, riadattato all’alba dell’Unità dal grande glottologo Graziadio Isaia Ascoli, nassût a Guriza di genitôrs israelits, fî dal Friûl, con la sua tripartizione in Venezia Propria o Euganea, Venezia Tridentina e Venezia Giulia, in uso prima dell’approvazione della Carta Costituzione del 1948.
Ricompattare le plurime identità, che hanno sempre visto riconfermata nel tempo la sostanziale unità comunitaria di queste culture locali, è quanto richiama nel tempo l’esperienza storica. Ladini e Cimbri, Mòcheni e Carnici, Germanofoni del Tirolo e delle isole alloglotte alpine, Comuni della Slavia veneta e del Carso sloveno, Bisiàchi e Veneti delle diverse cadenze tra Mincio e Quarnaro, compongono un insieme ricco di diversità quanto di comunanza nella visione del mondo.
Queste regioni che in termini di incidenza sociopolitica aspirano a formarne una sola, mantengono radicamenti validamente espressi anche nell’uso degli strumenti di comunicazione. Il Triveneto conosce rispetto al mondo dell’informazione nazionale una notevole presenza di pubblicazioni quotidiane non solo in lingua italiana, ma anche in lingua slovena, con il “Primorski Dnevnik” di Trieste/Trst, e in lingua tedesca il “Dolomiten” di Bolzano/Bozen, (oltre all’unico quotidiano Sloveno e Croato in lingua italiana di Fiume/Rijeka “La Voce del Popolo”), accompagnati da emissioni radiotelevisive pubbliche e private in lingua italiana, friulana, ladina, slovena.
CONQUISTARE LA TRADIZIONE: IL CONSENSO ATTRAVERSO IL TEMPO.
La sollecitazione all’unità da parte di tutte queste voci, viene dalla profonda condivisione agli eventi storici essenziali di cui sono state partecipi attraverso i secoli.
A cominciare, dalla formazione della X Regio Venetia et Histria di Augusto imperatore nell’anno 7 dopo Cristo, con la piena affermazione della civiltà romana. Per poi condividere nella decadenza i lutti, le distruzioni il terrore delle incursioni e dei nuovi insediamenti di popoli: Quadi e Marcomanni, Avari, Attila e le orde degli Unni, degli Ostrogoti, di Longobardi, di Ungari, Slavi e altri.
E ancora, tutti insieme i nostri popoli ha ricevuto la religione di Cristo partita dall’Aquileja di Marco, Prosdocimo, Ermacora e Fortunato, e dei Patriarchi.
Poi con il Serenissimo dominio di Venezia che, con l’espansione in Terrafera e nel Dominio da Mar, dall’Istria alla Dalmazia, alle Albanie Venete alle isole greche, ha diffuso costumi e sparso ville patrizie come centri di diffusione di modelli culturali e di tecniche agrarie innovative. Mentre francesi e austriaci si scontravano e i Regni si alternavano, da quello Italico, agli Asburgo del Regno Lombardo Veneto, fino al Regno d’Italia e alla Repubblica.
In epoche più recenti dentro a queste regioni si sono sommate le comuni sofferenze di due guerre mondiali, combattute con particolare asprezza fra Veneto orientale e Friûli, subendo le conseguenze di drammi collettivi: l’occupazione straniera, il profugato, la deportazione, la fame, le rabbiose violenze che hanno comportato il dolorosissimo esodo di giuliani, fiumani e dalmati a seguito dell’amputazione di gran parte della Venezia Giulia. Anche grandi catastrofi naturali, come il terremoto del 1976 in Friûli e l’alluvione del Polesine nel 1951, hanno contribuito a stringere nuove solidarietà da un capo all’altro delle nostre regioni.
Mentre ancora vive nella memoria collettiva la grande emigrazione popolare partita da queste terre, che per un secolo, tra Ottocento e Novecento, ha conosciuto investimenti di lavoro e di creatività nelle Americhe e in ogni ogni altro continente. Consentendo poi a molti di rimpatriare con le loro rimesse e le competenze acquisite, che costituiranno la base del riscatto sociale nelle nostre regioni.
Non fosse sufficiente a confermarci la fraterna condivisione di tanti mutamenti, pur nella persistenza di una tradizione che si consolida come consenso attraverso il tempo , stiamo ancora vivendo la Grande Trasformazione degli anni Sessanta del Novecento, che ha visto le nostre regioni, già gravate da povertà diffusa, compiere uno straordinario avanzamento economico e sociale trasformando legioni di ex agricoltori e di emigranti rientrati in protagonisti innovatori, giungendo a collocare il Triveneto tra le prime regioni industriali d’Europa. Un caso di studio sul capitalismo popolare, che ha conosciuto il coraggio e l’intelligenza di anonimi e conosciuti come Ferdinando Zoppas e Lino Zanussi, padri dei miei metalmezzadri, generando una miriade di piccoli, medi e grandi imprenditori successivi. Spinti a questo passo da un impulso quasi naturale, altrettanto condiviso, che si può riconosce fin nella spontaneità del patrimonio millenario dei proverbi popolari: da quelli che meglio si adattano al mare, alle lagune e ai grandi e piccoli fiumi, come: mèjo parón de sèssola che servidór de barca! ; agli altri presenti sulle montagne venete: mèjo paron d’on panét che servidor d’on forno. Sempre come corrispettivo di uno spirito di autonomia che si esprime nel friulano: di bessói!
Questa accumulazione di memoria condivisa, da trasmettere e tutelare in termini istituzionali, con la proposta formazione della regione Triveneta, non può che avvalersi del retaggio di uno spirito di comunità che è necessario nutrire di cultura delle autonomie per l’autonomia delle culture. Il princìpio secolare che si esprime a fondamento delle scienze sociali, con il protosociologo tunisino Ibn Khaldun del XIV secolo, vale anche al presente per le nostre aspirazioni comunitarie, nelle quali si persegua: l’armonia delle intelligenze e il consenso delle volontà , per una società stabile e prospera.
Bisogna recuperare necessariamente il valore della memoria se si vuole progettare il futuro di questa nostra unione regionale, apprezzandone il senso in nome della scandalosa forza rivoluzionaria del passato, come sosteneva il friulano Pier Paolo Pasolini.
Gli uomini non sono separabili dalle loro culture. Tra gli elementi non materiali che concorrono a formarle, le parlate locali forniscono e nutrono i sistemi culturali chiamati a garantirne il valore e il senso nella vita di relazione. I mondi vitali del Triveneto assicurano in questo modo l’etnicità reale e simbolica nella coesione dei gruppi.
Quel che ci si propone di ottenere con l’iniziativa interregionale sopra richiamata, è di fornire un’integrazione culturale capace di sostenere il peso dei mutamenti nei processi di integrazione con cui vengono a contatto i gruppi culturali di diversa provenienza. Adattare i meccanismi profondi delle culture, talvolta anche molto differenti tra loro, comporta una robusta capacità di confronto. Solo quanti sono stabilmente radicati nella propria appartenenza possono affrontare gli scambi e venirne arricchiti, impedendo d’esserne travolti.
Il prossimo futuro potrà prevedere ulteriori aumenti dei flussi di immigrazione, di qui la necessità di essere preparati ad affrontarli positivamente, contando su un territorio reso quanto più possibile omogeneo culturalmente.
Il Triveneto possiede già una sua disponibilità di gruppi coesi di volontariato, che si avvalgono di concrete esperienze storiche e sociali. Tali sono le varie associazioni degli emigrati su basi provinciali e interprovinciali (i vari trevigiani, vicentini, bellunesi, veneziani, veronesi, padovani, polesani nel mondo; Famèe furlane, i giuliani nel mondo, i dalmati nel mondo, i trentini nel mondo e anche l’Unione dei Triveneti nel mondo (UTRIM), costituita fin dal 1995; l’Associazione Trevigiani-Bellunesi-Friulani), iniziative culturali che continuano a proporsi nelle nostre regioni e in continenti diversi. Mentre si guarda con molto interesse ai legami già stabiliti dal secondo dopoguerra, con le Associazioni degli esuli giuliani-fiumani e dalmati, ben trapiantati e inseriti nel Triveneto e nel resto d’Italia, insieme alle Comunità dell’Unione Italiana operanti in Slovenia e Croazia (con propri deputati a Lubiana e Zagabria, che possono coinvolgere in una proficua intesa le relazioni con l’auspicata Regione Triveneta). Tutte opportunità che vanno conosciute e allargate per consolidare le ipotesi costitutive, andando oltre le miopie e le gelosie partitiche.
Prof. Ulderico Bernardi